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Vianna, l'arbitro che diede dei ladri alla Fifa

L'arbitro Mario Vianna con i capitani Ivanildo e Zé Maria prima di Nautico-Sport Recife, finale del campionato Pernambucano 1954
L'arbitro Mario Vianna con i capitani Ivanildo e Zé Maria prima di Nautico-Sport Recife, finale del campionato Pernambucano 1954

Nella storia del pallone sono tanti gli arbitri radiati per i motivi più disparati, a cominciare dalla sensibilità al vil denaro in cambio degli aiutini in campo. Ma quello del brasiliano Mario Gonçalves Vianna è un caso più unico che raro: cacciato dai ranghi Fifa per lesa maestà.

Vianna, classe 1902, di Rio de Janeiro, fu molto più che un fischietto di grido della sua epoca, a cavallo della seconda guerra mondiale: uno dei primi grandi personaggi del calcio che non fossero calciatori. Discusso, discutibile, anche controverso; però originale, con uno stile unico dentro e fuori dal campo. Oggi si direbbe un istrione: altro che i protagonismi dei Lo Bello e dei Collina. Però oggi, forse, Vianna non potrebbe dirigere a certi livelli: la Fifa li vuole alla stregua dei discoboli ateniesi, lui era basso e grasso (cento chili). Eppure narrano avesse una condizione fisica strepitosa, frutto del servizio nella polizia speciale del dittatore Getulio Vargas, della quale divenne un ufficiale. In gioventù aveva tirato su il desco facendo i lavori più diversi: lustrascarpe, giornalaio, imballatore di candele, esattore delle tasse.

Cominciò ad arbitrare per scommessa con un collega: col fischietto da poliziotto era stentoreo, quello gli suggerì di provarci pure col calcio. Lo fece e divenne un direttore di gara stimato, riverito, temuto. Aveva un modo di stare in campo tutto suo, fatto anche di parole forti e atteggiamenti ruvidi. Qui i giudizi si dividono: gli agiografi anche postumi ne dicono solo bene, i detrattori solo male. Di sicuro, uno come Vianna non poteva lasciare indifferenti. Salì di livello fino a diventare l'arbitro di punta del calcio brasiliano, e fioccò l'aneddotica intorno alle sue imprese.

La fama di duro esplose durante un rovente Flamengo-Botafogo del novembre 1947. Finì 4-2 per gli ospiti e Vianna espulse due giocatori rossoneri, provocando l'ira del pubblico: durante il gioco qualcuno gli tirò una bottiglia, lui la raccolse e minacciò di rispedirla al mittente; alla fine, mentre rientrava negli spogliatoi, gli arrivò un bastone e lui stavolta diede seguito alla minaccia, rigettandolo sugli spalti. Apriti cielo: cominciò una pioggia di pietre, bottiglie e altri oggetti. Qualcuno scavalcò la recinzione per aggredirlo, la polizia accorse per proteggerlo ma lui rifiutò di scappare dal campo. Dovettero portarlo via a forza per evitargli il linciaggio.

Fu l'unico arbitro a espellere Domingos da Guia negli undici anni di carriera del leggendario terzino. E fu anche l'unico a cacciare anzitempo l'idolo Nilton Santos, noto per la proverbiale correttezza, perché il guardalinee asseriva di esserne stato insultato: ma a fine gara, acclarato che il collega si era sbagliato, Vianna accorse nello spogliatoio a chiedere scusa al campione. Prima di una partita Heleno de Freitas, malizioso attaccante del Botafogo, gli consegnò platealmente un disco di bolero che lo stesso arbitro gli aveva chiesto, portato apposta dal Cile: Heleno sperava ingraziarselo, Vianna durante il match lo espulse.

Ma tutto questo sarebbe rimasto confinato al piccolo grande universo brasiliano, se Mario Vianna non fosse stato protagonista di due episodi pazzeschi durante il Mondiale 1954 in Svizzera. Fischiò l'esordio della nazionale di casa contro l'Italia, dopo essere stato coccolato ospite proprio degli elvetici nel ritiro di Macolin: altro che i soggiorni blindati degli arbitri odierni. Già messo così non era un comportamento proprio cristallino, ma il peggio venne al dunque: Vianna diede un robusto contributo alla vittoria rossocrociata, annullando un gol buono agli azzurri e accordandone uno irregolare alla Svizzera. Con i giocatori italiani ci fu rissa dopo la cancellazione della rete di Lorenzi per un fuorigioco impossibile, inventato lì per lì dopo aver farfugliato un paio di altre versioni ancor meno credibili: ci fu bailamme in mezzo al campo, Boniperti nell'assalto rimediò dall'arbitro un gancio al volto che lo lasciò tramortito. Mentre i massaggiatori lo portavano a bordocampo Vianna, ineffabile, sussurrò al capitano dell'Italia che, qualora se la fosse sentita, dopo le cure del caso sarebbe potuto rientrare. A fine gara, all'imbocco degli spogliatoi, altra razione di proteste: stavolta gli azzurri presero letteralmente a calci nel sedere Vianna, che incassò i colpi e omise addirittura di farne menzione nel referto. Evidentemente, tanto a posto con la coscienza non era.

Se il Mondiale azzurro era finito precocemente e ingloriosamente, la carriera di Vianna non durò molto di più. Il 27 giugno 1954 commentò per Radio Globo il quarto di finale Ungheria-Brasile, passato alla storia come la Battaglia di Berna per i colpi proibiti volati tra i giocatori in campo. Strano: erano due squadre di grandissima caratura tecnica, doveva uscirne un grande spettacolo; invece fu emozionante, sì, ma non proprio da educande. Vinsero i magiari 4-2, ci furono tre espulsi (l'ungherese Kocsis, i brasiliani Nilton Santos e Humberto) e troppa tensione. Vianna, quando non arbitrava, commentava le partite in diretta radio: era l'unica voce del Mondiale per gli ascoltatori brasiliani. Nella sua cabina del Wankdorf, quel pomeriggio, si lanciò in un autentico anatema, condito da una gragnuola di invettive contro il collega inglese Arthur Ellis, definito "apito (arbitro) comunista", e persino la grande madre Fifa, definita "camarilha de ladroes", cioè cricca di ladri.

In realtà il buon Ellis era innocente: avrebbe voluto dirigere all'inglese, cioè facendosi notare il meno possibile, ma si trovò di fronte a un clima torrido e dovette ricorrere alle maniere forti per controllare la situazione. La radiocronaca riuscì clamorosamente partigiana e gravemente sopra le righe, da tifoso esagitato: tanto più inaccettabile ove firmata da un tesserato. La Fifa si vendicò all'istante: Vianna venne cacciato l'indomani stesso, perse la qualifica di internazionale e due anni dopo - aveva già 55 anni - smise pure di fischiare in patria.

Per un po' provò a fare l'allenatore, con risultati deludenti. Tornò quindi a fare il commentatore televisivo e radiofonico a tempo pieno, seguitissimo e apprezzatissimo, e anche in questa veste - tra una moviola e l'altra - ebbe trovate incendiarie, inciampando in tragicomiche gaffes. Come quando, ricascandoci, definì l'arbitro israeliano Klein "giudeo e ladro", o quando, asfissiato in studio dal fumo dei sigari degli altri ospiti, li apostrofò con un lapidario "smettetela, questo è veleno per i polmoni": in entrambi i casi fu sospeso, perché gli sponsor dei programmi in questione erano rispettivamente industriali ebrei e produttori di sigari.

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