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La coppa che nessuno vuole

Il parapiglia tra giocatori e terna arbitrale dopo l'annullamento del gol di Balint

La risaputa corruzione del calcio romeno ha toccato il punto più basso nel periodo della dittatura di Nicolae Ceausescu, tra il 1967 e il 1989, quando persino i figli degeneri del Conducator, Valentin e Nicu, usavano il pallone per assecondare i loro sordidi magheggi. L'irrigidirsi dell'eterno duopolio Steaua-Dinamo rese il campionato un teatrino dell'assurdo, in cui tutto o quasi era predeterminato, tra intimidazioni, scansamenti di massa e arbitraggi pilotati.

A monte, beghe di potere politico: la Steaua era la squadra dell'esercito, gestita del ministero della Difesa, mentre la Dinamo, finanziata dal ministero dell'Interno, faceva riferimento non solo alla polizia, ma anche alla famigerata Securitate. I due dicasteri "pesanti" si disputavano la supremazia e si dividevano i trofei, agli altri - che tenevano famiglia - conveniva non intralciarli.

Duopolio pervasivo. Poteva addirittura succedere che i potenti club governativi adocchiassero giovani di talento e li scippassero senza sborsare un soldo alle società di provenienza. Era accaduto per esempio con Gheorghe Hagi: la Steaua lo prese in prestito dallo Sportul Studentesc nel febbraio 1987 per disputare la Supercoppa europea con la Dinamo Kiev (vinta a Montecarlo proprio grazie al gol del 21enne fuoriclasse in erba), ma poi si "dimenticò" di restituirlo e ne fece una propria bandiera.

Negli anni '80 la rivalità tra i colossi di Bucarest raggiunse l'apice, col corollario di frequenti incidenti tra tifoserie assai calde. Era il periodo di massimo fulgore della Steaua, che era pure diventata una big d'Europa: unica squadra dell'est a vincere la Coppa dei Campioni, nel 1986, semifinale persa nell'88 con il Benfica e altra finale in arrivo nell'89. Valentin Ceausescu, grande appassionato di calcio, sovrintendeva alle faccende del club: comandava a piacimento, benché il suo nome non figurasse nell'organigramma.

Al fratello minore Nicu lo sport non interessava granché, però sbirciava la Dinamo in veste di nume tutelare della polizia segreta. E papà Nicolae, autoproclamatosi Genio dei Carpazi, prese sotto la sua ala la società del suo villaggio natale, Scornicesti, nel sud del Paese: l'Olt in tre stagioni passò dalla quarta alla prima divisione, scalata favorita da un 18-0 ottenuto all'ultima giornata di serie B, il punteggio necessario per sopravanzare i concorrenti del Flacara Moreni nella differenza reti.

L'apice della rivalità. Con simili premesse, il derby di Bucarest non era mai una sfida banale: ma il 26 giugno 1988 Steaua e Dinamo esagerarono, trasformando la finale di Coppa di Romania nella partita della vergogna. Si giocò di domenica nello stadio 23 Agosto, il più grande del Paese, tana della nazionale: spalti zeppi, diretta tv e papaveri in tribuna d'onore, compreso Valentin Ceausescu al seguito della squadra del cuore. La Steaua, fresca campione di Romania (imbattuta, chiuse con 64 punti su 68 disponibili, contro i 63 della Dinamo) nel torneo finito appena quattro giorni prima, era favorita e sulla carta superiore, ma i Cani Rossi, in piena ricostruzione, avevano dalla loro gioventù e talento.

Passò in vantaggio la Steaua con Marius Lacatus, che al 28' inzuccò a dovere un cross di Iovan. La Dinamo tenne botta e uscì alla distanza: palo di Lupescu, gol sbagliato da Andone. Nel finale l'allenatore Mircea Lucescu si giocò la carta Florin Raducioiu, attaccante 18enne che partendo dalla panchina gli aveva già tolto diverse castagne dal fuoco. Fu proprio l'ultimo arrivato a pareggiare a tre minuti dalla fine, da rapace d'area, monetizzando un pallone protetto con mestiere dal marcatissimo bomber Camataru.

Si andava quindi verso i supplementari, ma la Steaua non ci stava. I rossoblù ripresero ad attaccare, trovando proprio al 90' il varco giusto: Hagi crossò basso dalla sinistra; il portiere Moraru uscì ma s'impaperò e non trattenne; sul rimbalzo si avventò Gabi Balint, soprannominato Pelè, che a porta vuota firmò il 2-1. Mentre mezza squadra festeggiava, l'altra metà (più parte della panchina) si avventò su arbitro e guardalinee, che avevano immediatamente annullato, sostenendo un fuorigioco che le immagini dimostrarono subito inventato.

Rissa e fuga. Ne sortì un colossale parapiglia, in cui il fischietto Stefan Dan Petrescu, internazionale, e l'uomo con la bandierina alzata, Gheorghe Ionescu, non cambiarono l'assurda decisione. Allora la Steaua si ritirò nello spogliatoio su ordine di Valentin Ceausescu, che scese dalla tribuna d'onore e proibì ai suoi giocatori di riprendere la gara: "Non accetto questo trattamento: si tengano la coppa e se la mettano in quel posto", esclamò furibondo. Petrescu e gli avversari attesero in campo per una ventina di minuti, invano: poi l'arbitro fischiò la fine e la coppa fu consegnata alla Dinamo, proclamata vincitrice per 3-0 a tavolino.

Il tutto mentre la tv di stato ometteva le inquadrature del campo e riprendeva stoicamente i tifosi in attesa sulle gradinate e il tabellone col risultato maturato fino a quel momento: c'era la direttiva governativa di non riprendere mai scene di violenza, o comunque negative, e la regia eseguì fedelmente. Poi la diretta fu interrotta, senza che gli spettatori conoscessero l'epilogo.

L'indomani mattina il presidente della federcalcio, Mircea Anghelescu, trasalì ricevendo in ufficio una visita inaspettata: si presentarono un membro del comitato centrale del partito comunista, il capo del consiglio nazionale dello sport e i rappresentanti delle due società. Il bizzarro consesso riguardò la cassetta del discusso finale: assodato che il gol di Balint era regolare, decise di sanare l'errore arbitrale e ribaltare l'esito del campo, assegnando la vittoria alla Steaua col punteggio di 2-1. Delibera che fu prontamente ratificata dal regime e notificata a giornali e tv, che il giorno prima erano stati costretti a tacere il fattaccio. Arbitro e guardalinee - di cui si vociferava l'affiliazione alla Securitate, il che spiegherebbe la topica mirata - vennero squalificati per un anno.

Le scorie di quell'episodio infettarono a lungo un ambiente già elettrico di suo. L'anno dopo, in calce all'ennesimo derby perso (altro 2-1, altro gol di Balint allo scadere, stavolta convalidato), Ioan Andone, sanguigno leader della Dinamo, si abbassò i pantaloncini sotto la tribuna autorità, all'indirizzo di Valentin Ceausescu, rimediando un pesante stop.

Il ping pong della vergogna. La coppa della vergogna tornò d'attualità solo dopo la fine della dittatura. Che comunque non era lontana: la rivoluzione di Natale dell'89 portò alla fucilazione di Ceausescu e della moglie, all'arresto dei figli, alla svolta per un Paese a lungo tenuto sotto scacco, tra povertà e mancanza di libertà. Anche il calcio cambiò padroni: gli stessi club governativi sono stati via via privatizzati, non senza goffi scivoloni, come quando la Steaua non aveva più un nome poiché il ministero reclamava il copyright, e nel suo stesso stadio tabellone e speaker parlavano semplicemente di "squadra locale".

La cosa curiosa è che quel trofeo, tanto desiderato alla vigilia, non l'ha più voluto nessuno: in fondo c'è della coerenza, perché quella finale non ha avuto vincitori, né tecnicamente né moralmente. La Steaua ha tentato di restituire la coppa alla Dinamo, ma la Dinamo ha rifiutato, perché non voleva la vittoria a tavolino. Anche l'albo d'oro è perplesso: sulla riga del 1988 figura la dicitura "trofeo non assegnato", omissione di cui non si può andar fieri. Ma se una squadra ha abbandonato il campo avendo ragione, e l'altra è stata designata vincitrice non avendo vinto, l'unica soluzione possibile, forse, è proprio fingere che quel pasticcio non sia mai accaduto.

Cristian Gatu, all'epoca segretario della Steaua, ricorda: "L'arbitraggio fu pro Dinamo. Si sapeva che Ionescu era un uomo di Postelnicu (il capo della Securitate, ndr), e che Postelnicu stesso controllava diversi club di prima divisione, decidendone sorte e risultati, e facendo sì che con la Dinamo perdessero sempre".

Ha detto Mircea Lucescu, allenatore giramondo, quel giorno sulla panchina dei Cani Rossi: "Era la nostra coppa: loro lasciarono il campo, non noi. C'era caos, mi avvicinai alla coppa e la presi. Quella finale fu una vergogna, una macchia sul calcio romeno: furono calpestati tutti i regolamenti e i filmati televisivi sparirono, la versione ufficiale fu che si erano accidentalmente cancellati. Dopo tutti questi anni la federazione dovrebbe risolvere finalmente la cosa e dare la coppa alla Dinamo".

Guarda la sintesi di Steaua-Dinamo del 26 giugno 1988

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