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L'ultima partita di Jock Stein

10 settembre 1985: mancano 2' alla fine di Galles-Scozia, il ct scozzese Jock Stein collassa davanti alla sua panchina sotto gli occhi del delfino Alex Ferguson
10 settembre 1985: mancano 2' alla fine di Galles-Scozia, il ct scozzese Jock Stein collassa davanti alla sua panchina sotto gli occhi del delfino Alex Ferguson

Quando Giovanni Trapattoni ha detto "Sono troppo giovane per ritirarmi, morirò in panchina, la mia casa", forse pensava a Jock Stein. Il protestante che ha ridato l'orgoglio al cattolicissimo Celtic, l'uomo che ha rifatto grande il calcio scozzese: una delle culle del football che però, fino agli anni '60, aveva vivacchiato senza gloria. Il seguito di pubblico era imponente, ma i risultati all'estero scarsi, sia con i club che con la nazionale. E i migliori talenti, appena potevano, emigravano nelle più ricche e quotate squadre della vicina Inghilterra. Stein seppe ridare vittorie e dignità al movimento, firmando tutte le imprese più belle del ventennio della rinascita.

John Stein detto Jock, nato nel 1922, figlio e nipote di minatori, modesto calciatore, si era affermato come allenatore capace di far fare il salto di qualità alle sue squadre. Nei primi anni '60 aveva portato ai vertici due "piccole", il Dunfermline e l'Hibernian di Edimburgo. E aveva firmato l'epoca d'oro del Celtic: arrivato a sorpresa nel gennaio 1965, quando i Bhoys navigavano nell'anonimato di un lungo tunnel buio, in capo a due anni, senza stravolgimenti di mercato, li aveva issati sul tetto d'Europa, vincendo la finale di Coppa Campioni con l'Inter a Lisbona (2-1). Fu il primo club britannico a farlo, e resta a tutt'oggi l'unico a osare tanto con un organico interamente prodotto in casa: i giocatori erano ragazzi del vivaio, nati e cresciuti nel giro di 30 miglia da Glasgow. Giocò un'altra finale (nel 1970, persa a Milano col Feyenoord) e vinse 10 scudetti in 13 stagioni, più altre coppette assortite: un dominio irripetibile e irripetuto.

Il metodo Stein era fatto di bastone e carota, tattica e psicologia: con modalità anche un po' brutali otteneva la reazione che voleva, cioè la fedeltà assoluta della truppa. I giocatori lo seguivano affascinati: trasmetteva loro una mentalità feroce, attingendo anche all'educazione protestante ricevuta da ragazzo. Il paradosso è che fu un ottimo potenziale esponente dei Rangers a fare del Celtic la squadra più affiatata, affamata, vincente. Nessuno, prima e forse anche dopo, modellò così tanto l'immagine di un club fino a renderlo riconoscibile ovunque.

L'exploit dei Lisbon Lions fu il suo capolavoro. Alla vigilia della partita del secolo Jock nascose abilmente la squadra agli osservatori interisti, facendo pure circolare casse di birra durante l'allenamento di rifinitura. Le spie nerazzurre si convinsero che ne avrebbero fatto un sol boccone, invece in campo i Bhoys correvano il doppio. Negli spogliatoi, prima della finale, il buon Jock fece ai suoi pretoriani un discorso che sarebbe piaciuto agli americani: "Andate e divertitevi. Non dobbiamo solo vincere: dobbiamo far sì che gli spettatori neutrali siano contenti del nostro successo". Missione compiuta.

Aveva rivoluzionato non solo la squadra più popolare, ma anche l'intero calcio scozzese. Era il faro di riferimento, e quando esaurì l'avventura biancoverde fu naturale affidargli la panchina della nazionale, già assaporata per un pugno di partite nel 1965. Debuttò sul serio il 25 ottobre 1978, battendo 3-2 la Norvegia nelle qualificazioni europee. Doveva rinnovare una squadra reduce, sì, da due partecipazioni di fila ai Mondiali, ma sempre fuori al primo turno: serviva salire l'ultimo gradino della competitività, lui poteva garantirlo. Il primo biennio fu di rodaggio: tenne i veterani Rough, Dalglish e Jordan, lanciò giovani come Souness, Wark, Hansen, McLeish, Archibald, Strachan. Costruì un gruppo coeso e andò vicinissimo all'agognata svolta: raggiunto facilmente il Mundial spagnolo, la Scozia si trovò in un girone di ferro. Fu molto sfortunata nello scontro diretto con l'Unione Sovietica, che dominò ma non vinse, uscendo per differenza reti a causa di un clamoroso strafalcione difensivo.

All'epoca alla fase finale dell'Europeo andavano solo otto squadre, quindi entrarci era difficile. Così l'obiettivo seguente era la qualificazione a Messico '86. Per centrarla serviva un punto nell'ultima partita, il caldissimo derby esterno col Galles, che aveva gli stessi punti ma una differenza reti peggiore. Si giocò al Ninian Park di Cardiff il 10 settembre 1985. Stein aveva ormai plasmato la nazionale a sua immagine e somiglianza, inserendo strada facendo Leighton, Gough, Nicol, Sharp e Speedie: però infortuni e squalifiche avevano decimato i papabili per la sfida dentro-o-fuori. Mancavano in un sol colpo Souness, Archibald, Dalglish e Hansen: le anime del gioco e dello spogliatoio. Così Jock fu costretto a schierare una formazione inedita, contando sul proverbiale carattere. Il Galles aveva la miglior generazione della sua storia ed era favorito: a Stein pareva chiaro che un fallimento gli sarebbe costato il posto. Si mise male, segnò subito l'astro nascente Mark Hughes. L'inseguimento a perdifiato della Scozia fu coronato solo a otto minuti dalla fine: l'arbitro olandese Keizer, un tipo tosto e fiscalissimo, fischiò un discutibile rigore per un colpo di gomito di Phillips, lo trasformò Cooper proprio sotto la curva che ospitava i 12.000 tifosi in trasferta.

"Fino a pochi istanti prima i fotografi attorniavano la panchina gallese: quando Cooper segnò la scena cambiò radicalmente, si spostarono tutti nei pressi della nostra panchina - ricorda Stewart Hillis, medico della nazionale scozzese - C'era una grande ressa, Jock ne cacciò qualcuno che gli impediva la visuale. Però il pareggio non pareva averlo turbato oltre misura: era teso e sudava molto, come tutti in quel finale concitato. A due minuti dalla fine l'arbitro fischiò qualcosa: Jock pensò che fosse finita, si alzò di scatto per andare verso l'altra panchina e svenne al secondo passo. Era chiaramente un infarto: fu raccolto di peso dai poliziotti in servizio a bordocampo e portato nello stanzino medico dello spogliatoio, dove c'era tutta l'attrezzatura necessaria. Gli feci un'iniezione, mi disse 'dottore, mi sento molto meglio'. Furono le sue ultime parole: fu arduo accettarlo, ma sapevamo di aver fatto tutto il possibile e anche di più".

Il dramma si consumò in pochi minuti e la notizia della scomparsa di Big Jock si sparse in un baleno. I 12.000 della Tartan Army smisero di festeggiare e abbandonarono lo stadio a testa bassa. Tutta la squadra negli spogliatoi piangeva. Emersero dettagli e retroscena, tasselli di un amaro puzzle dal finale tragico. "Sapevo che Jock soffriva di cuore - ha detto ancora Hillis - doveva prendere delle pastiglie per aiutare la funzionalità del muscolo cardiaco, ma in seguito scoprimmo che proprio nei giorni che precedevano quella partita non l'aveva fatto. Sono sicuro che, se avesse seguito le prescrizioni, non sarebbe morto così. Ma era adulto e vaccinato". In realtà si seppe poi che a ucciderlo, più che l'infarto in sé, fu un edema polmonare causato proprio dal versamento di liquido dovuto allo scompenso cardiaco.

L'ansia, ovvia per una gara decisiva, poi, fu acuita da un episodio accaduto nell'intervallo. Lo racconta il terzino Richard Gough: "Nei minuti finali del primo tempo il nostro portiere Leighton era stato insolitamente in difficoltà nelle uscite e sui tiri da lontano. Al rientro negli spogliatoi confessò di aver perso una lente a contatto e di non averne altre di scorta. Jock andò su tutte le furie e colpì ripetutamente il soffitto, perché non sapeva che Jim avesse quel problema". Tutti sapevano che Leighton era sdentato, ma nessuno era al corrente dei suoi difetti visivi: lui spiegò di averli sempre nascosti, perché temeva gli costassero la carriera. Nel secondo tempo lo sostituì Alan Rough, l'ex titolare, che in nazionale non giocava da tre anni e ricorda così quei momenti: "Nella stanza c'era il finimondo: Jock urlava, il suo vice Alex Ferguson pure, perché stavano sprecando un cambio in un match fondamentale. Io uscii per prepararmi: quando incrociai Jock, al momento di rientrare per la ripresa, era in piedi sulla porta dello stanzino e mi disse semplicemente 'good luck, fat bastard'". L'unica sostituzione rimasta avrebbe riguardato proprio Cooper, il firmatario del gol-qualificazione, entrato come mossa disperata a mezz'ora dal gong.

Alla fine "festeggiammo, ma arrivò Ferguson trafelato e mi disse: 'Jock sta male, tieni i ragazzi in campo'. Eravamo in pensiero, certo, ma niente di più. Quando rientrammo nello spogliatoio vidi il massaggiatore, Jimmy Steel, in lacrime. Non ci fu bisogno che spiegasse, avevo già capito tutto".

Rough rovista anche nella lunga vigilia di quel confronto: "Stein in quei giorni era strano, pallido, diverso dal solito. Solo in campo lavorava col consueto piglio, perciò non ci preoccupammo, pensammo fosse l'effetto dell'avvicinarsi dell'incontro chiave. Dopo la partita, col senno di poi, tutto divenne tragicamente chiaro. C'era un'atmosfera che non avevo mai vissuto in nessun altro spogliatoio nella mia carriera: silenzio, nessuno sapeva cosa dire e a nessuno interessava più il risultato".

I tifosi seppero tutto a dramma consumato. Racconta Hamish Husband, veterano della Tartan Army, presente a Cardiff quella notte: "A fine partita stavamo esultando in tribuna per la qualificazione. Vedemmo del movimento nell'area tecnica, ma non capimmo cosa accadeva. Ciascuno uscì e prese la via di casa, noi salimmo in macchina e formammo una colonna di vetture: a un certo punto un'altra auto ci superò e uno dei passeggeri urlò dal finestrino 'Jock è morto, l'ha detto la radio'. Ci sentimmo in lutto come se fosse uno di famiglia".

Ci fu grande impressione anche sul fronte gallese. Racconta il leggendario portiere Neville Southall: "Prima della partita feci riscaldamento sotto la curva scozzese: rimanemmo senza palloni, perché quelli finiti in tribuna non tornavano mai in campo. Lo dissi a Jock, lui andò a parlare coi suoi tifosi e fece ricomparire tutti i nostri palloni. Lo ringraziai e ci ridemmo su".

Si scoprì in seguito che Stein, forse presago, oltre a non prendere le medicine, aveva sconsigliato ai familiari di seguire la trasferta fatale in Galles. E che aveva già pianificato di lasciare la panchina dopo il Mondiale, proprio per curarsi a dovere. Con quel punto la Scozia approdò allo spareggio intercontinentale con l'Australia, vinto. E in Messico fu guidata dal delfino di Stein, quell'Alex Ferguson che poi avrebbe vinto tutto col Manchester United: incassò la solita precoce eliminazione. La triste vicenda è ben riassunta dalla riflessione condivisa da tutti: "Era meglio non andare ai Mondiali e avere ancora con noi Jock".

Guarda il Celtic campione d'Europa 1967

Guarda la sintesi di Galles-Scozia del 10 settembre 1985

Guarda Jock Stein in un programma tv pochi giorni prima della tragedia, con Mike England e Bobby Robson

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