8 Ottobre 2015
Se avete letto Osvaldo Soriano, sarete rimasti rapiti dal "rigore più lungo del mondo" assegnato dall'arbitro Herminio Silva, calciato da Constante Gauna del Deportivo Belgrano e parato dal Gato Diaz dell'Estrella Polar dopo una settimana di psicodramma collettivo in entrambi i paesi coinvolti. Beh, qualcosa del genere è accaduto davvero: non tanto lontano dalla Valle del Rio Negro cantata dal mai troppo rimpianto Gordo. Era la Coppa America del 1946, si giocava al Monumental di Buenos Aires, la casa del River Plate, e dopo la guerra non c'era nemmeno un vero trofeo in palio.
Il 10 febbraio 1946 si trovarono di fronte le eterne rivali, l'Argentina campione in carica e il Brasile a digiuno dal 1922. Era di fatto una finale: la formula prevedeva il girone all'italiana di sola andata, la supersfida tra le potenze era stata appositamente messa in calendario per ultima. Niente a che vedere con l'odierno show nobilitato dai talenti più osannati e pagati del globo: i fuoriclasse non mancavano, però all'epoca la classicissima sudamericana aveva regolarmente connotati western e finiva quasi sempre in rissa.
I conti in sospeso c'erano anche quella volta, perché i precedenti non mancavano e i calciatori hanno memoria d'elefante. Nel 1937 a Buenos Aires, in un'altra finale del Sudamericano, il Brasile abbandonò il campo durante i tempi supplementari, sullo 0-2, lamentando gli insulti razzisti del pubblico di casa, che li apostrofava urlando "macaquitos" e mimando le scimmie. Nel 1939 a Rio, all'85' sul 2-2, l'arbitro Monteiro (brasiliano) fischiò un rigore farlocco per i padroni di casa, suscitando le violente proteste degli argentini: Arcadio Lopez insultò Monteiro e venne portato fuori dalla polizia, i suoi compagni decisero di andarsene e alla fine del trambusto l'ineffabile Peracio segnò il penalty della vittoria a porta vuota, poiché gli avversari erano già negli spogliatoi ma l'arbitro aveva preteso che si tirasse ugualmente la massima punizione. E poche settimane prima, il 20 dicembre 1945, in amichevole a Rio, il brasiliano Ademir aveva spaccato la gamba all'argentino Batagliero al culmine di un match che di tecnico ebbe ben poco.
Quella partita, dunque, metteva in palio molto più della già importantissima supremazia continentale. L'Argentina vi arrivò a punteggio pieno, mentre il Brasile aveva pareggiato a sorpresa col Paraguay: ai locali dunque bastava non perdere. Si giocò ancora una volta con vigoria esagerata, in un clima di battaglia che il direttore di gara, un quotato uruguayano dal cognome italiano (Valentini) e dal nome impegnativo (Nobel), faticò a tenere in pugno. Si cominciò alle 16 e alla mezz'ora esatta, sullo 0-0, nell'ululato del pubblico, il brasiliano Jair entrò scompostamente (eufemismo) sul capitano albiceleste José Salomon fracassandogli tibia e perone della gamba destra. Fu la miccia accesa gettata nelle polveri: ne nacque l'ennesima ammucchiata da saloon, un incredibile tutti contro tutti. Non solo brasiliani e argentini, ma anche diversi spettatori zompati giù dalle tribune se le diedero di santa ragione sul terreno di gioco trasformato in ring. E la polizia, invece di sedare gli animi, mise il carico da novanta, dispensando a sua volta legnate mirate e alimentando la violenza. Il malcapitato Valentini, non sapendo che pesci pigliare, sospese tutto: quando lui e i brasiliani riuscrono a guadagnare gli spogliatoi erano le 17. La squadra argentina invece rimase in attesa in mezzo al terreno di gioco.
Dopo la bellezza di tre ore di stop, finalmente furono ristabilite le condizioni minime di ordine pubblico per riprendere a giocare. Erano circa le 20 quando Valentini richiamò i protagonisti sul campo, e per prima cosa espulse un giocatore per parte: dopo la vergognosa rissa collettiva De La Mata e Chico, pescati nel mucchio, pagarono simbolicamente per tutti. Dunque, si ripartì con Marante al posto del povero Salomon, che in seguito non riuscì più a tornare a correre come prima e chiuse lì la sua carriera professionistica.
L'intervallo durò più di un'ora, poiché i brasiliani non volevano proseguire l'incontro: fu il veterano Domingos da Guia, alla sua ultima presenza in nazionale, a convincere i compagni col suo carisma. Non prima di aver preteso una dichiarazione scritta delle autorità di Buenos Aires, in cui si assicurava che la polizia non avrebbe più picchiato i calciatori ospiti.
Tra una provocazione e l'altra si giunse all'epilogo: il bomber argentino Norberto Tucho Mendez, che quando sentiva profumo di Brasile moltiplicava il già notevole fiuto del gol, firmò la doppietta che decise gara e coppa. Attorno alle 22 sulla partitissima calò il sipario, insieme alla notte di Baires. La finale era durata sei ore: al Brasile ne servirono altre tre per allontanarsi sano e salvo dallo stadio, mentre l'Argentina festeggiava il titolo di campione del Sudamerica.
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