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La Coppa delle Fiere, vera antesignana della Champions

Il Barcellona vincitore della finale di Coppa delle Fiere 1958: la maglia non è blaugrana perché inizialmente figurava come rappresentativa cittadina

C'erano uno svizzero, un inglese e un italiano. Non è l'incipit di una barzelletta, bensì il prologo alla storia della prima coppa europea che scoprì il binomio calcio-marketing, molto prima della milionaria invasione televisiva e della trasformazione del tifoso in pollo da spennare. Lo svizzero si chiamava Ernst Thommen ed era vicepresidente della Fifa; l'inglese si chiamava Stanley Rous, era il leader della Football Association e nel 1961 sarebbe salito sul trono della Fifa; l'italiano Ottorino Barassi, squalo di molti mari, dirigente di lungo corso sopravvissuto persino all'epurazione post-fascista, comandava la Figc e aveva un ruolo importante nella Fifa. Costoro il 18 aprile 1955 fondarono la vera antenata della Champions League: si chiamava per la precisione Coppa Internazionale delle Città di Fiere Industriali, per gli amici semplicemente Coppa delle Fiere (Coupe des Villes de Foires per i francofoni, Inter-Cities Fairs Cup per gli anglofoni).

Calcio e business. L'intuizione dei fondatori era abbinare al pallone le manifestazioni fieristiche, che con il boom economico andavano spuntando in tutto il continente, nella scia della ripresa garantita dal piano Marshall. L'idea era mettere in vetrina le città, non le squadre di club. Per questo il regolamento iniziale proibiva di iscrivere più formazioni di uno stesso luogo, richiedeva addirittura che i giocatori fossero nativi della città in questione e prevedeva un sistema di inviti, non di merito sportivo bensì commerciale. Per tutti questi motivi l'Uefa se ne tenne a lungo fuori, né in seguito riconobbe mai ufficialmente la competizione: si limitò a sbirciarla, a blandirla e a raccoglierne furbamente l'eredità, fondando nel 1971 sulle sue ceneri la Coppa Uefa.

La prima edizione si svolse addirittura nell'arco di tre anni, tra il giugno 1955 e il maggio 1958, e vide iscritte 12 squadre. La formula, apparentemente snella, prevedeva quattro gironi triangolari, le vincenti dei quali sarebbero approdate in semifinale. L'handicap però era un calendario che ricalcava l'agenda delle annuali kermesse campionarie di riferimento: l'idea, buona, era di giocare durante queste manifestazioni, generando un effetto traino reciproco tra pallone e business; ma il risultato, inevitabile, fu il prolungarsi a dismisura del torneo, con annesso diradarsi dell'attenzione di pubblico e media, e non di rado risultati falsati dal vasto intertempo - anche un anno! - tra un match e l'altro, nel quale poteva capitare che le rose subissero radicali cambiamenti.

Carrozzone complicato. Delle 12 coinvolte, in realtà solo 10 squadre presero effettivamente parte all'edizione 1955-58: le altre diedero precocemente forfait, a dimostrazione del carattere sperimentale dell'evento. Prevalevano le selezioni cittadine, ben 6: rappresentavano Londra, Copenaghen, Zagabria, Lipsia, Francoforte e Basilea. I club erano Inter (Italia, in rappresentanza di Milano: il Milan disputava la Coppa dei Campioni), Losanna (Svizzera) e Birmingham City (Inghilterra: l'Aston Villa non ritenne di "mischiarsi" ai cugini). Poi c'era il caso Barcellona: nata come rappresentativa civica, in realtà quasi subito divenne un monocolore blaugrana. Lasciarono subito liberi i rispettivi posti le selezioni cittadine di Vienna e Stoccolma, e poi pure quella di Colonia, a sua volta chiamata a rilevare gli svedesi.

Dai gironi eliminatori emersero Barcellona, Londra, Losanna e Birmingham. I catalani superarono facilmente i danesi in un triangolare monco. Gli svizzeri centrarono una clamorosa rimonta sui tedeschi di Lipsia: persa 6-3 l'andata, vinsero 7-3 il ritorno, disputato sette mesi più tardi. I londinesi si qualificarono... in poltrona, grazie all'incredibile 6-2 rifilato dal Basilea, che fin lì aveva sempre perso con larghi punteggi, al Francoforte nell'ultima partita del calendario, giocata un anno dopo l'andata: ai tedeschi sarebbe bastato vincere di misura per beffare gli inglesi grazie alla differenza reti. Infine il Birmingham City, che vinse agevolmente il raggruppamento dell'Inter.

La semifinale leggendaria. Fu epica la serie semifinale tra Birmingham e Barcellona: una squadra molto fisica contro una molto tecnica. L'andata, a St. Andrew's Park, finì 4-3 per gli inglesi, in un ottovolante emotivo che concentrò i sette gol nella prima ora e tenne tutti col fiato sospeso fino alla fine. Nel ritorno, al Camp Nou fresco di inaugurazione, il Barça pensava di rimontare facile, invece sudò parecchio. Gli inglesi, che nel loro campionato erano nella parte bassa della classifica, si difesero benissimo e capitolarono solo a 8' dalla fine per una magia di Kubala, che da lontano vide il portiere fuori dai pali e lo uccellò con un delizioso pallonetto.

Nella ripresa il Birmingham si trovò nella necessità di sostituire un infortunato, ma non poté farlo per una disputa regolamentare ingaggiata sul campo: all'epoca i cambi non erano consentiti, trattandosi di una manifestazione non sotto l'egida Uefa i club si erano accordati tra loro per effettuarne due. Ma al dunque ognuno interpretò diversamente la cosa: i catalani protestarono poiché a loro dire le sostituzioni erano possibili solo nel primo tempo, a meno che si trattasse del portiere. L'arbitro svizzero, nel dubbio, si attenne alle norme codificate e quindi il Birmingham finì menomato la partita.

Non c'era neppure la regola dei gol doppi fuori casa: i 30' supplementari non risolsero alcunché, così fu necessario lo spareggio in campo neutro. Si giocò al St. Jakob di Basilea, a fine novembre, con due gradi di temperatura e un campo con l'erba alta fradicia d'acqua. I blaugrana dominarono il primo termpo e passarono col brasiliano Evaristo Macedo alla mezz'ora; la ripresa fu di marca britannica, Brown pareggiò subito sugli sviluppi di un corner e poi fu assedio alla porta del grande Ramallets, che parò il parabile e anche di più. Al minuto 83 l'episodio decisivo: l'estremo, neutralizzato l'ennesimo tiro, rinviò lunghissimo, cogliendo sbilanciata la retroguardia avversaria; Suarez innescò ancora il magnifico Kubala, che tagliò da sinistra, portò a spasso il portiere Merrick, lo mise a sedere con una finta e infine lo giustiziò. Un contropiede da manuale.

Nell'altra semifinale il London XI superò il Losanna in rimonta: 2-1 per gli svizzeri all'andata, 2-0 per gli inglesi al ritorno.

Goleada e curiosità. La finale non ebbe storia: Londra schierò il meglio, ma il Barça era uno squadrone due spanne sopra. All'andata fu 2-2, fissato da un rigore di Jimmy Langley all'88'. Al Camp Nou il Barcellona non ebbe pietà: Luisito Suarez fece doppietta nei primi 8', poi fu goleada. Finì 6-0 e gli ospiti ebbero anche la sventura di perdere per infortunio il portiere Kelsey dopo il poker: gli subentrò la mezzala Vic Groves, che visse probabilmente la mezz'ora più dura della sua carriera, ma concesse solo altri due gol.

A dimostrazione dell'eccessivo protrarsi del torneo, le due formazioni finaliste non erano neppure lontane parenti di quelle che con le stesse maglie avevano iniziato l'iter. Nessuno degli undici londinesi schierati nella prima gara, il 4 giugno 1955 a Basilea, era in campo anche nella finale di ritorno a Barcellona, il 1° maggio 1958. E solo quattro blaugrana erano in campo sia all'esordio, il giorno di Natale del 1955 contro lo Staevnet di Copenaghen, che all'epilogo. Persino Ladislao Kubala, eroe della semifinale, saltò la doppia finale.

Particolarmente pittoresca la rappresentativa londinese, che nelle otto gare disputate impiegò addirittura 54 giocatori di 11 società diverse (Arsenal, Brentford, Charlton, Chelsea, Cystal Palace, Fulham, Leyton Orient, Millwall, Qpr, Tottenham, West Ham), convocati via via da tre allenatori differenti (il più impegnato fu Joe Mears, mitico manager del Chelsea). E non giocò mai due volte nello stesso stadio: il London XI, creato appositamente per la Coppa delle Fiere, fece tappa nel girone a Wembley e White Hart Lane (casa del Tottenham), in semifinale ad Highbury (tempio dell'Arsenal), in finale a Stamford Bridge (alma mater del Chelsea). Anche nel Barça abbondavano le discontinuità tecniche: aveva iniziato il torneo con l'ungherese Ferenc Plattko in panchina, poi era arrivato Domenec Balmanya, a cui giusto pochi giorni prima della finale di ritorno era subentrato Helenio Herrera.

Il futuro. L'esperimento, benché perfettibile, piacque e fu riproposto con gli opportuni correttivi. L'edizione successiva fu accorciata di una stagione e interamente disputata su turni a eliminazione diretta; in seguito la Coppa delle Fiere abbracciò la normale cadenza annuale, affiancandosi a Coppa Campioni e Coppa Coppe organizzate dall'Uefa. Fu il giardino di casa di spagnole e inglesi, che dominarono 10 delle 13 edizioni. La vinse una sola italiana, la Roma nel 1961: la Juventus perse due finali (1965 e 1971). Dalla stagione 1971/72 fu sostituita dalla Coppa Uefa, firmata dal governo del pallone europeo: la Coppa delle Fiere fu assegnata definitivamente il 22 settembre 1971 nella sfida secca tra le vincenti della prima e dell'ultima edizione: il Barça batté 2-1 il Leeds United al Camp Nou.

Guarda il ricordo della finale di Luis Suarez

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