10 Novembre 2016
Il 15 giugno 1982 Luis Ricardo Guevara Mora stabilisce due record tuttora imbattuti. Del primo può andar fiero: all'età di 20 anni, 9 mesi e 21 giorni è il più giovane portiere a disputare una partita del campionato del mondo. Dopo aver debuttato nella sua nazionale, El Salvador, a soli 17 anni, si erge a grande protagonista delle qualificazioni centramericane: appena un gol al passivo in sette partite. Fa dell'agilità il piatto forte della casa: merito delle esperienze maturate nel baseball e nel basket.
Gli occhi delle grandi. Dopo le giovanili nel Platense Zacatecoluca, una provinciale che è stata capace nel '75 di fare l'accoppiata scudetto-coppa, nel 1979 passa all'Atletico Marte, una delle big del calcio salvadoregno. Su di lui mettono gli occhi club stranieri di grido: spediscono osservatori in quella landa sperduta il Cruz Azul di Città del Messico e il Paris Saint Germain, chiedono informazioni tra gli altri l'Inter e il Real Madrid, che pensa già di mandarlo a farsi le ossa nella filiale del Castilla. Ma la federazione salvadoregna stoppa ogni trattativa: se ne parlerà a Mundial finito, con la speranza di assistere a un'asta e ricavare molto più denaro.
Del secondo record Mora non va fiero: però gli è legato, perché lo fa entrare suo malgrado negli annali, e difficilmente ne verrà scalzato. El Salvador - che è già stato a Messico '70, chiudendo il girone iniziale senza punti né gol fatti - gioca la prima gara contro l'Ungheria a Elche: è una mattanza. Finisce 10-1, il bottino più pingue di sempre in una partita iridata. E tra i pali, a raccoglier palloni nel sacco, c'è proprio lui, il ventenne outsider venuto in Spagna per lanciare la propria carriera.
Mora diventa lo zimbello del Mundial. Fa peggio di un altro collega entrato nella storia dalla parte sbagliata: il sudcoreano Hong Dook-Jong, bucato nove volte in un colpo solo dalla grande Ungheria il 17 giugno 1954 a Zurigo (e sette dalla Turchia nella successiva gara). Fa la figura dell'acchiappafantasmi, ma non è tutta colpa sua. Come spesso capita, il portiere paga l'assoluta insipienza di tutti gli altri: compagni, tecnici e dirigenti.
Improvvisazione. In Salvador infuria la guerra civile e ci sono cose più serie del calcio a cui pensare. La squadra arriva in Spagna totalmente impreparata, manco andasse a una sagra di paese. "I dirigenti pensavano più al denaro che poteva entrare che a noi. La stampa scriveva che potevamo diventare campioni, e la gente ci credeva", ha rivelato Mora molti anni dopo. Anche le scelte logistiche rasentano l'assurdo: mentre tutte le altre nazionali si prendono il giusto tempo per acclimatarsi, la comitiva salvadoregna sbarca ad Alicante solo a 72 ore dal debutto. Arriva dopo un viaggio-odissea di due giorni, con pernottamento in Guatemala e scali a Panama, Santo Domingo e Madrid. Il risultato? "Avevamo l'orologio biologico sballato di nove ore, cascavamo dal sonno eppure dovevamo allenarci e giocare", ricorda ancora Mora.
La spedizione è picaresca: i giocatori schierabili sono solo 20, anziché i canonici 22, poiché la federazione, piuttosto in bolletta, preferisce lasciare a casa due convocati (Gilberto Quinteros e Miguel Gonzalez) per far posto a personaggi di dubbia reputazione che però finanziano il viaggio. La trovata non garba al resto della squadra, che promuove una colletta tra tutti i calciatori professionisti del Paese. Ciascuno versa 600 colones per la gloria della patria pallonara e così gli esclusi risalgono sull'aereo: ma non rientrano in gioco, poiché la lista ufficiale è già stata consegnata alla Fifa. Non basta: delle sette mute da gara recapitate dallo sponsor tecnico Adidas ne restano ben presto solo quattro, mentre le altre finiscono nei cassetti dei mammasantissima federali e dei loro amici come preziosi souvenir, non di rado rivenduti ai collezionisti. I capi spedizione dicono di preferire maglia bianca e calzoncini blu per motivi estetici, la verità è che la combinazione opposta latita in magazzino. Idem per i palloni ufficiali da allenamento: la Fifa ne fornisce 25, spariscono in fretta e si è costretti a farseli prestare da altre squadre, nel caso specifico dai magiari.
Arrembaggio fatale. Il resto lo fa l'allegra incoscienza dello staff tecnico. La squadra non è male, la punta di diamante è il 24enne bomber Jorge Màgico Gonzalez, dandy impenitente che passerà al Cadice e sprecherà il suo talento tra donnine e night spagnoli. Ma il 37enne ct Mauricio Pipo Rodriguez, che era in campo a Messico '70, non si cura di studiare gli avversari e manda la sua truppa al massacro. L'Ungheria, prima rivale nel torneo, non è uno squadrone né ha grandi stelle, ma segue un'idea tattica ben precisa: ama chiudersi e armare il contropiede. L'ignaro El Salvador che fa? Si butta all'attacco e viene puntualmente infilato di rimessa. "All'intervallo eravamo sotto 3-0 - è ancora la voce del portiere da record - ma ci dicemmo che stavamo giocando bene. Nessuno di noi si accorse che loro ci avevano lasciato il possesso palla per colpirci più facilmente. La nostra ingenuità era tale che Rodriguez disse: nella ripresa cerchiamo di segnare subito, così rimontiamo. Noi eravamo convinti: beh, in pochi minuti ci trovammo sul 5-0".
Dopo il pokerissimo, siglato da Fazekas al 10' del secondo tempo, qualcosa si muove sulla panchina salvadoregna: il Pipo vorrebbe cambiare portiere, evidentemente imputandogli la disfatta in fieri. Ma Mora resta al suo posto perché il vice Julio Hernandez rifiuta di entrare e condividere la solenne figuraccia. Quando Luis Ramirez Zapata firma il 5-1, rinfocolando le insensate speranze dei compagni, qualcuno gli sussurra di esultare poco, altrimenti gli avversari potrebbero infierire. "Non capivo la portata di quanto stava accadendo - ha spiegato Mora - Io ero ancora convinto di recuperare il risultato e poi di passare il turno". Gli ungheresi non infieriscono, ma per mera inerzia arrivano in doppia cifra, facendone quattro in sette minuti di black out altrui tra il 69' e il 76'.
In realtà, le colpe specifiche dell'estremo difensore si limitano a un paio di tiri battezzati male: quisquilie, nel mare del bombardamento a tappeto al quale gli stralunati compagni lo abbandonano. Il dopogara, in albergo, è una notte di coltelli più lunghi dei musi: i senatori del gruppo - Jovel, Huezo e Fagoaga - esautorano il Pipo, assumono la guida tecnica e stabiliscono per le due successive partite assetti più adatti alle modeste risorse disponibili, rinforzando la difesa per evitare altre legnate.
Marchio indelebile. Nella seconda gara, il 19 giugno col Belgio vicecampione d'Europa - che all'esordio ha messo ko l'Argentina - il Salvador se la cava decisamente meglio: prende solo un gol, sul quale però Mora ha pesanti responsabilità, colto fuori posizione da un tiro da centrocampo di Coeck. Papera a parte, il giovane portiere gioca egregiamente: para il parabile e conclude il match con giramenti di testa tutt'altro che metaforici, a causa di uno scontro di gioco con un avversario che lo lascia stordito a cambi ormai fatti.
Mentre l'Honduras, altra rappresentante centramericana, fa un figurone e viene eliminato solo dagli sgarbi arbitrali pro Spagna, El Salvador perde anche la terza partita, 2-0 con l'Argentina, e torna a casa. L'accoglienza in patria è feroce: nessuno ha digerito la goleada inaugurale. Per Mora, individuato come facile capro espiatorio, si apre una lunghissima stagione di contestazioni, da parte di tifosi e gente comune. Le grandi che lo seguivano lo mollano, altro che asta planetaria: lo chiama solo il Murcia, che disputa la Segunda division spagnola. La squadra vince il campionato e viene promossa in Liga, ma Mora non vede mai il campo e a stagione in corso riattraversa l'Atlantico per approdare ai Buffalo Stallions, che giocano nella Misl, il pittoresco campionato professionistico indoor statunitense.
Nel 1984 Mora torna in patria: da un lato rimane il portiere titolare della nazionale (assommerà 91 presenze, altro primato), dall'altro sconta ancora un pesante clima di scherno. La scelta personale di contestare i disinvolti maneggi del presidente federale lo rende ancor più bersaglio di insulti, provocazioni e persino veri e propri attentati, come quando gli crivellano l'auto con la mitraglietta. Cambia un sacco di maglie, rimbalzando tra il suo Salvador e il vicino Guatemala, conquistando scudetti in serie. Chiude la carriera a 41 anni, senza essersi mai scrollato di dosso la scomoda e immeritata etichetta rimediata quella maledetta sera a Elche.
Guarda la sintesi di Ungheria-El Salvador 10-1
Guarda un documentario salvadoregno su quella partita
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