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La squadra dei campioni algerini fuggiti dalla Francia per fare la rivoluzione

Autunno 1959: la squadra del Fln ricevuta dal leggendario leader nord-vietnamita Ho Chi Minh
Autunno 1959: la squadra del Fln ricevuta dal leggendario leader nord-vietnamita Ho Chi Minh

Nel 1958 l'Africa viveva un momento storico e drammatico. Era l'epoca della ricerca dell'indipendenza dai colonizzatori europei, che non avevano alcuna intenzione di lasciar andare per la loro strada quei giacimenti di ricchezza, manodopera e potere. Quasi tutto il Maghreb apparteneva alla Francia, che nei primi anni '50 aveva già perso i possedimenti nel sud-est asiatico. Se Tunisia e Marocco ottennero la decolonizzazione in maniera pressoché incruenta, attraverso i negoziati, ben diverso fu il caso dell'Algeria, dove il Fronte di liberazione nazionale ingaggiò un braccio di ferro armato, fatto di atti di guerriglia e terrorismo, a fronte della potenza di fuoco schierata da Parigi, che incaricò l'esercito di spazzar via i ribelli con ogni mezzo.

Ne scaturì un duello durato otto anni, dal 1954 al 1962, che ebbe un ruolo cruciale nella riscoperta dei nazionalismi nordafricani e diede il la anche alla successiva rivolta dei popoli subsahariani. In quel periodo, lo scambio umano tra madrepatria e colonia era già consistente: molti francesi vivevano al di là del Mediterraneo, molti algerini avevano cercato fortuna in Francia. Tra questi anche diversi calciatori.

Quello che avvenne tra venerdì 11 e domenica 13 aprile 1958 lasciò di sasso l'opinione pubblica francese: come spesso è accaduto nella storia, una vicenda sportiva divenne la spia di un disagio sociale e aprì la strada a una presa di coscienza politica. In quel weekend sparirono nel nulla una decina di calciatori di origine algerina: lasciarono fama, soldi, affetti per abbracciare la causa del loro popolo in lotta. I più celebri erano Rachid Mekhloufi, 22enne attaccante e stella del St. Etienne campione di Francia in carica, e Mustapha Zitouni, 30enne difensore del Monaco. Naturalizzati, entrambi erano appena stati inseriti dal ct Paul Nicolas nella lista dei convocati per il Mondiale svedese, che si sarebbe disputato due mesi dopo, con la Francia animata da legittime aspirazioni di podio.

A loro si aggregarono altri campioni meno gettonati: Abdelaziz Ben Tifour, 29 anni, centrocampista del Monaco; Said Brahimi, 27 anni, attaccante del Tolosa; Abdelhamid Kermali, 27 anni, attaccante del Lione; Abdelhamid Bouchouk, 31 anni, ala del Tolosa; Amar Rouai, 26 anni, centrocampista dell'Angers; Mokhtar Arribi, 34 anni, centrocampista del Lens; Abderrahmane Boubekeur, 27 anni, portiere del Monaco; Kaddour Bekhloufi, 23 anni, difensore del Monaco.

Scapparono in due gruppi, beffando la sorveglianza dei rispettivi club, che, irretiti dal degenerare della situazione in Africa, avevano preso l'abitudine di monitorare i loro dipendenti di origine maghrebina. Quelli che abitavano a nord varcarono clandestinamente la frontiera svizzera, scesero a Genova e s'imbarcarono per la Tunisia. Quelli di stanza a sud si riunirono a Nizza, passarono il confine italiano in treno a Ventimiglia, arrivarono a Roma e lunedì 14 aprile in aereo raggiunsero Tunisi, dove in un albergo aveva sede il governo provvisorio algerino in esilio, meta finale designata del viaggio.

L'avventuroso piano inciampò in un paio di inconvenienti. Mekhloufi, che era pronto a salutare il St. Etienne dopo la partita di domenica 13 col Beziers, ebbe la sventura di infortunarsi proprio in quell'occasione: dovette trascorrere 36 ore in osservazione in ospedale e si aggregò appena dimesso. E un undicesimo fuggiasco, Mohamed Maouche, 22enne centrocampista dello Stade Reims che stava vincendo lo scudetto, perse i contatti con gli altri quando si trovava già a Losanna: decise di rientrare a Parigi da dove, saputo della sparizione degli amici, tentò di nuovo di recarsi in Svizzera; ma la notizia nel frattempo si era sparsa: alla dogana venne riconosciuto, arrestato e imprigionato per 45 giorni. Però non abbandonò l'impresa, anzi: organizzò le successive "evasioni" di altri colleghi connazionali. Al punto che nel novembre del 1958 la squadra del Fln, ormai al completo, contava la bellezza di una trentina di elementi, tutti provenienti dal massimo campionato francese.

Il loro obiettivo era combattere per la patria, ma con le armi che madre Natura gli aveva dato: l'arte del pallone. Fondarono una squadra che, nelle loro intenzioni, doveva essere la nazionale algerina, figlia di un Paese che sulla carta ancora non esisteva ma espressione dell'orgoglio popolare. La mente di tutta l'operazione era Mohamed Boumezrag, il più vecchio del gruppo con le sue 37 primavere: lavorava al progetto da mesi, aveva abbandonato il Le Mans e insieme ad Arribi allenava la neonata squadra, dividendosi tra campo e panchina. I calciatori ribelli sfidarono il bando della Fifa, che li squalificò immediatamente dall'attività internazionale e vietò alle altre federazioni riconosciute di ospitare e affrontare questa particolarissima rappresentativa, vestita di verde e bianco, i colori della bandiera dell'Algeria.

L'attività di questa squadra di figli del deserto, denominata "Undici dell'indipendenza" o anche "Diamanti bruni", si protrasse per quattro anni, nei quali i patrioti con le scarpette chiodate rinunciarono a carriera e stipendio per perorare la causa della loro gente. Trovando appoggi ovunque, in barba ai diktat delle autorità calcistiche: furono ben 91 le partite disputate a ogni latitudine - soprattutto in Asia, Paesi arabi ed Europa orientale - 62 delle quali vinte. Fecero conoscere al mondo la questione algerina e portarono con sé l'inno nazionale "Kassamen": ebbero un ruolo psicologico, promozionale e diplomatico di primo piano nella dura battaglia per l'indipendenza. E, dettaglio tutt'altro che trascurabile, dando spettacolo rivelarono a tutti le straordinarie potenzialità del football africano.

Il debutto avvenne già il 15 aprile 1958 contro la "sorella" Tunisia, che schierava la sua nazionale maggiore, fresca vincitrice dei Giochi Panarabi: fu un clamoroso successo per 8-0. L'Algeria in pectore sfidò poi a più riprese il Marocco, vincendo ancora facile. Nel febbraio-marzo del 1959 fece una lunga tournée in Iraq, dove fu accolta da un autentico bagno di folla ("Complimenti a chi, grazie allo sport, è riuscito a offuscare l'immagine della Francia coloniale", il messaggio rivolto dagli iracheni): il 25 febbraio, per la sfida alla nazionale militare dell'Iraq, per la prima volta furono usati inno e bandiera algerini, suscitando la rabbia dell'ambasciatore francese a Baghdad, che abbandonò lo stadio in segno di protesta. Dall'ottobre al dicembre 1959 si spostò in Asia per un'altra tournée in Cina e Vietnam, dove tra una partita e l'altra la comitiva fu ricevuta in gran pompa da Chou En Lai e Ho Chi Minh. Sciorinò grandi prestazioni contro Jugoslavia (6-1!) e Ungheria (2-2), scuole calcistiche di grande impatto. La federazione francese tentò invano di far punire da Fifa e Uefa i club e le nazionali che incontravano la squadra del Fln.

Dalla primavera del 1961 la recrudescenza del conflitto franco-algerino, con quotidiani spargimenti di sangue, rese complicata l'attività calcistica: le gare si diradarono e i calciatori del Fln presero a collaborare con i club tunisini che li ospitavano. La guerra finì nel marzo 1962 e l'indipendenza fu sancita il 5 luglio seguente: dopo quattro anni di missione patriottica, i calciatori algerini potevano riprendere le loro carriere da professionisti della pedata. I più attempati si ritirarono; qualcuno tornò in Francia, dove non trovò alcuna ostilità; altri presero la più tranquilla via del calcio svizzero; i meno forti si accontanterono dei modesti ingaggi nelle formazioni algerine. Tra coloro che scelsero di riprendere il filo spezzato c'era il migliore, Rachid Mekhloufi: dopo un breve intermezzo al Servette di Ginevra (dove conquistò il titolo elvetico) vestì di nuovo la maglia (verde, ovvio) del St. Etienne con la quale riuscì a vincere altri tre scudetti (1964, '67 e '68) e una Coppa di Francia (1968). Ma la maggior parte dei suoi compagni d'avventura sacrificò alla patria la propria parabola calcistica.

"Riuscimmo a sensibilizzare l'opinione pubblica sul dramma dell'Algeria - ha detto in seguito Mekhloufi, considerato all'epoca un talento di livello mondiale - Non esitammo a partire: certo, c'erano in ballo la carriera e tanti soldi, ma niente valeva quanto la liberazione del nostro Paese. Eravamo fieri di rappresentare la nostra gente in lotta per una giusta causa: ci sentivamo investiti di una responsabilità politica, ma gli esiti andarono molto oltre le aspettative. Nemmeno le autorità algerine clandestine credevano che avremmo potuto dare un contributo simile semplicemente giocando a calcio".

"Eravamo militanti, eravamo rivoluzionari, lottavamo per l'indipendenza - ha aggiunto Maouche - Ma per combattere non è necessario imbracciare le armi: ognuno lo fa nella maniera che gli è più congeniale, noi usammo il pallone. Furono anni meravigliosi, era fantastico vedere ogni volta la nostra bandiera e ascoltare il nostro inno. Nessuno di noi, che io sappia, ha mai rimpianto quella scelta".

Gli eroi del Fln saltarono il Mondiale del '58, in cui la Francia di Kopa e Fontaine arrivò terza con molti rimpianti. L'Algeria disputò il suo primo Mondiale in Spagna nel 1982: ottenne un leggendario successo per 2-1 sulla Germania Ovest, poi batté anche il Cile 3-2. Conquistò tutti, ma fu eliminata dalla disgustosa combine austro-tedesca passata alla storia come la "Vergogna di Gijon". Sulla panchina di quell'Algeria storica, bella e impossibile, c'era Rachid Mekhloufi.

Guarda un filmato sulla squadra del Fln

Guarda uno speciale su Rachid Mekhloufi

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