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Che fatica accettare le maglie numerate

Il marocchino Hicham Zerouali, quando militava nell'Aberdeen, volle lo 0: richiamava il cognome e il nick affibbiatogli dai tifosi scozzesi

Ai numeri di maglia si è pensato quando il football era già in voga da più di mezzo secolo. Oggi la diamo per scontata, ma gli esordi dell'innovazione non sono stati affatto facili: stranamente, l'idea non veniva dall'Inghilterra, culla del pallone, bensì dagli Stati Uniti. Varcato l'Atlantico ha trovato non pochi ostacoli prima di entrare nella consuetudine regolamentare.

La data storica è il 30 marzo 1924, quando si disputa a St. Louis, Missouri, la finale della National League statunitense tra i padroni di casa del Vesper Buick, rappresentanti della conference occidentale, e gli orientali del Fall River Marksmen di Fall River, Massachusetts. I Buicks si presentano in campo con casacche doppiamente griffate: lo sponsor sul petto (omonimo al nome della squadra) e i numeri sulla schiena. La novità non porta loro fortuna: finisce 4-2 per gli ospiti. L'arbitro, Edward McCabe di Philadelphia, e gli spettatori hanno comunque vita più facile grazie all'inedita scelta.

Rimane comunque un caso isolato. In Europa il debutto dei numeri di maglia avviene altrettanto in sordina, qualche anno più tardi. Succede il 25 agosto 1928, prima giornata del campionato inglese, su due campi: Hillsborough, dove lo Sheffield Wednesday batte 3-2 l'Arsenal per la First Division, e Stamford Bridge, dove il Chelsea annichilisce lo Swansea City 4-0 in Division Two. Quel giorno Gunners e Blues - ignorando il veto della federazione - sfoggiano i numeri sul retro. Il fautore principale del nuovo sistema di riconoscimento è Herbert Chapman, il leggendario manager che ha portato l'Arsenal e tutto il calcio britannico nella modernità: l'obiettivo originario, in realtà, è agevolare la lettura del gioco agli stessi protagonisti, cioè calciatori e allenatori.

La novità intriga: quella stessa estate il Chelsea va in tournée in Sudamerica, pubblico e media locali lo definiscono "los numerados". Ma non piace a tutti: i parrucconi della Football Association, miopi custodi della tradizione, si mettono di traverso e impediscono che la moda dilaghi. Di quando in quando succede che qualcuno ci provi, ma restano episodi abbastanza isolati. Dice Billy Minter, manager del Tottenham Hotspur: "Basta che i giocatori siano elencati nel match programme. Trovo inutile che siano numerati come i fantini: la mia lunga esperienza dice che il pubblico è in grado di distinguerli per la posizione in campo, è facile come l'abc". Gli fa eco Sidney King, omologo del West Ham: "Rende i calciatori uguali a cavalli e fantini: lo spettatore medio sa identificare i giocatori dalla loro posizione".

Finché è la stessa FA a cedere di schianto. Succede il 29 aprile 1933 e l'occasione è tutt'altro che sperimentale: si tratta nientemeno che della finalissima di Coppa d'Inghilterra, all'epoca il trofeo per club più prestigioso del mondo. Le protagoniste sono l'Everton di Liverpool e il Manchester City: entrambe indossano divise azzurre, il regolamento in questi casi - per non fare figli e figliastri - impone che entrambe cambino colori e allora la federazione provvede a fornire a entrambe maglie ad hoc. Che sono rispettivamente bianca con calzoncini neri e rossa con calzoncini bianchi. E sulla schiena hanno i cuciti i numeri: dall'1 all'11 a salire per l'Everton, dal 22 al 12 a scendere per il City. La gara passa alla storia come "The All Lancashire Cup Final": la vincono i Toffees per 3-0, completando la scalata che li ha visti promossi in First Division nel 1931 e vincitori dello scudetto, da debuttanti, nel '32.

Le divise numerate piacciono, ma faticano a entrare nella quotidianità. Solo nel 1939 l'Inghilterra, e a seguire le altre maggiori federazioni, le introducono via via nel regolamento. Anche in Italia l'esordio ufficiale è del 18 settembre 1939. Dal 1940 entrambe le squadre sono identificate con le progressioni dall'1 all'11. Ai Mondiali i numeri vengono usati per la prima volta nel 1950: per l'assegnazione si fa di volta in volta riferimento al ruolo, all'anzianità di militanza, all'ordine alfabetico. Finché a metà anni '90 si arriva alle divise personalizzate, col numero - anche eccentrico - scelto direttamente da chi lo indossa. Con un precursore di estremo lusso: Johan Cruijff, che a partire dal 1970 non abbandona più il mitico 14, indossato casualmente al posto del 9 per un banale disguido di spogliatoio. E nel 1979 il Milan anticipa i tempi del merchandising spinto, stampando sulla schiena i nomi dei giocatori. Curiosità: fino alla fine degli anni '70 il Celtic di Glasgow ha rifiutato di "sporcare" le maglie con i numeri, preferendo applicarli piccoli sui calzoncini, a volte anche fronte-retro.

Guarda uno scorcio di Vesper Buick-Fall River Marksmen del 30 marzo 1924

Guarda la sintesi della finale di FA Cup Everton-Manchester City del 29 aprile 1933

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